martedì 5 luglio 2016

Daniil e Max. Numeri e destini nel crocevia del Gran Premio di Spagna

Pubblicato su CircusFuno il 18/05/16

Verstappen-Kvyat-F1-2016
Il Gran Premio di Spagna è stato un crocevia di destini rappresentati da numeri: i diciotto anni del più giovane vincitore di tutti i tempi, Max Verstappen; la striscia di dieci vittorie consecutive della Mercedes interrotta  per un colpo di (testa)coda; i trentasei anni di Kimi Raikkonen, croce e delizia; i tre secondi e mezzo di quell’ultima sosta di Sebastian Vettel ai box, un capolavoro di scuola Williams nella categoria degli undercut falliti; la qualifica da top ten di Fernando Alonso e il sesto posto di Carlos Sainz, alfieri della Spagna motoristica.
Da qualche parte, però, c’è un 1’29’’6 che non vivrà della stessa luce degli altri numeri di questa gara d’altri tempi, perché i giri veloci vengono dimenticati se non arrivano accompagnati da una pole position o, che so, da un Grand Chelem;accadendo singolarmente, invece, sono come la medaglia di legno alle Olimpiadi, il ma ho fatto il giro veloce che viene gettato come salvagente nel mare magnum di commenti a una gara altrimenti anonima: un contentino, insomma, per chi poteva – e voleva – fare meglio. Quell’ 1’29’’6 è l’altra faccia della medaglia della vicenda sportiva della Red Bull tornata a vincere e del suo giovanissimo pupillo, è il numero che rappresenta Daniil Kvyat nel crocevia dei destini del Gran Premio di Spagna.
Vittima della propria vettura in Australia, Driver of the day in Cina, empio tamponatore di Ferrari in Russia e ora eponimo del  “materiale sacrificabile” dell’accademia per giovani dotati che è l’impero bibitaro del Lord Marko, Daniil Kvyat ha sorseggiato l’amaro calice che, prima di lui, è toccato ai vari VergneBuemiAlgersuari e – nomen omen – Speed, presi e sbattuti dagli altari alla polvere con la stessa repentina leggerezza con la quale si spostano le pedine al gioco dell’oca. E così, dopo aver assaggiato una Red Bull finalmente performante, seducente nelle forme e pericolosamente – per gli avversari – somigliante al missile di qualche anno fa, quello che ti metteva le ali sul serio, il buon Kvyat, dopo aver passato un 2015 a presenziare a grigliate e conclavi – a seconda di come volessero interpretarsi le cicliche fumate bianche che partivano dal suo propulsore – proprio quando vedeva concretizzarsi la malcelata speranza di mettere insieme una buona stagione fra podi, piazzamenti e  – perché no? – vittorie, si ritrova retrocesso in quel di Faenza, a guardare, a bordo di una Toro Rossa di recriminazioni, il suo compagno di squadra Sainz finirgli davanti e la sua ex monoposto vincere la prima gara da due stagioni. Vincere, guidata da un altro. Un altro che è sì un predestinato, ma che ha avuto dalla sua, oltre a una  vettura valida, una strategia azzeccata e una buona dose di fortuna: la verità è che Max può, Daniil no.
Così, mentre nelle prime posizioni si disputava un’altra gara, Daniil Kvyat ha stampato quel fastest lap, 1’29’’6; era doppiato, ma, per un curioso caso, nel crocevia di destini del Gran Premio di Spagna s’è trovato proprio lì, in mezzo ai duellanti, a osservare quel che accadeva e, forse, a rimuginare su quel che sarebbe potuto essere, ma … Max può, Daniil no.

Il crocevia dei destini del Gran Premio di Spagna ci ha lasciati, alla fine, con qualche altra considerazione: benché tanti avrebbero gioito se il vecchio Raikkonen fosse riuscito a sorpassare il giovane Verstappen, mostrando – a lui e a noi romantici – un po’ della mai sopita classe, è pur vero che a questo libro liso e stinto della Formula Uno, che attira sempre meno lettori, è stata aggiunta una nuova e patinata pagina di storia. Abbiamo e avremo a lungo un nuovo più giovane vincitore di gran premio, ma il record del maggior numero di vittorie consecutive, undici, appartiene ancora alla McLaren di Senna e Prost, annata 1988: passi per la storia, che va riscritta ogni tanto, ma le leggende – quelle vere – le lasciamo stare.

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