Ravanando nella memoria, purgando i ricordi dalla patina agiografica
che li ricopre, c’è un episodio di quell’anno che mi ha davvero fatto saltare
sul divano – anche se allora non ancora ce l’avevo. Era una delle solite estati
torride a umidità novantacinque percento che si avvicendano dalle mie parti e
me ne stavo davanti alla televisione, sperando che l’immedesimarmi con tutte le
forze in uno dei colleghi tifosi appollaiato sulle tribune nella foresta delle
Ardenne potesse recarmi un po’ di refrigerio; nel frattempo, sfruttando le
immense potenzialità delle offerte estive messaggia
a sbafo tutto a tutti che allora andavano per la maggiore - in questa era
geologica che sto citando non esistevano ancora Facebook e Twitter, infatti – commentavo
incessantemente la gara con una mia amica d’infanzia, con la quale condivido la
passione per le corse e il nome di battesimo. C’era stato di tutto: la pioggia –
quando mai – la partenza dietro la safety car, uno a caso fra Barrichello e
Fisichella che finisce la benzina – circostanze che si ripetono ciclicamente
nelle varianti gomme sparite/ mal avvitate /forate, tentativi di omicidio da
parte di rookie e varie altre sfighe assortite – genialate e pirlaggini
equamente distribuite nel momento di passare dalle gomme da bagnato a quelle da
asciutto e, soprattutto, un Mika Hakkinen in grande spolvero. Aveva una
macchina bellissima, una Mc Laren Mercedes figlia di papà Newey dalla linea fluida
ed elegante, che mi ha fatto guadagnare un posto nella tribuna del rettilineo d’arrivo
nell’Inferno dei Ferraristi per quante volte l’ho magnificata a scapito della
sua collega rossa, ma la bellezza è la bellezza e di fronte a qualcosa che è
oggettivamente bella tu al massimo puoi dire che non ti piace, ma non che non è
bella. Venne il momento che questa bellissima macchina si trovò negli scarichi
della sua collega rossa e Michelone nostro ebbe il suo bel daffare per
tenersela dietro, finchè non si giunse intorno al giro quaranta quando si
materializzò lui, l’eroe di noi divanisti: Ricardo Zonta.
Quanti di noi hanno desiderato di trovarsi in pista,
circondati da gente del calibro di Michael Schumacher e Mika Hakkinen? C’è chi
può e chi no, ma io può, come dissero una della mie professoresse e, per l’appunto,
Ricardo Zonta, che si trovò letteralmente circondato da quei due al rettilineo
del Kemmel: Schumacher lo doppiò all’esterno di autorevolezza e manifesta
superiorità, Hakkinen li sorpassò entrambi all'interno, di eleganza. Ero in
cucina a messaggiare con la mia amica sorseggiando un ghiacciolo quando sul
ventidue pollici tubo catodico – altro prodotto tipico di quell’era geologica
là – si materializzò questa scena: tre monoposto appaiate su uno strettissimo
nastro d’asfalto!
Da allora dai tutti a dire che si trattò di uno dei più bei
sorpassi di tutta la storia della Formula Uno. Io posso solo affermare che la
mia amica smise di messaggiarmi, preferendo telefonare per rappresentarmi con
la sua viva voce un E mo? di disperata consapevolezza; io finii per
ingoiare un pezzo troppo grosso di ghiacciolo che mi andò di traverso e mi
ripresi in tempo solo per gli inni nazionali. Un po’ come Ricardo Zonta al giro
quaranta, il quale avrà sentito una fastidiosa sensazione di gelo mentre gli si
chiudeva la trachea …
immagine tratta da: http://racing.blogosfere.it/2007/12/storia-della-formula-1.html
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