martedì 18 aprile 2017

FormulaElle continua!



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Amici, ammiratori, fan-tastici di Formula-Elle, buongiorno!

FormulaElle non è morto, benchè non venga aggiornato da un po'. FormulaElle continua e  della sua seconda vita, fra bizzarria, scemenza, commozione e passione, potete continuare a fare parte fra le pagine di Circus Formula Uno.
Qui potete trovare tutti i vecchi pezzi degli anni 2014 e 2015, che verranno sempre conservati a imperitura memoria di quel che fu una specie di diario folle di qualcuno che ha trovato nello scrivere di Formula Uno una formidabile via per cambiare in meglio la propria esistenza.

E continuate a scrivermi, mi raccomando!

Ciao!

Mrs. Elle

mercoledì 20 luglio 2016

F1 Confidential: confidenze e strategie per un futuro migliore della Formula Uno. Recensione riservata, ma non troppo.

Pensavate che l'Ellezeviro di FormulaElle fosse definitivamente tramontato, sorpassato da nefaste logiche arbitrarie ammazza-bizzarria? Pensavate male. Cavia dell'esperimento - ma sarebbe meglio dire valoroso volontario, visto che si è offerto lui - è Alberto Saiu di FormulaPassion, che ricorderete per essere, in coppia con Salvo Sardina, uno dei bravi professionisti che mi hanno dato una mano in passato, condividendo e incoraggiando questo diario personale sulla Formula Uno e sul mondo che tanto bene mi ha portato.
Alberto Saiu ha scritto un libro, F1 Confidential, che tratta in maniera sistematica i principali problemi che affliggono la Formula Uno attuale, basandosi su dati e intervallando la trattazione con interviste e opinioni, raccolte sotto forma di "confidenza" . Ne parlai anche io tempo fa, in una lettera alla Formula Uno, che trovate qui. Il libro è una summa, quindi è molto completo, ma non annoia perchè i dati freddi sono alternati dalle testimonianze. Per cui è tecnico ma leggibile, che non è affatto poco.

Ecco a voi la mia recensione su F1 Confidential, di Alberto Saiu, che potete acquistare su tutte le principali piattaforme (Amazon, Apple Store e Google Play)

Austria e Gran Bretagna: una Ferrari “WANNABE” fra detrito e castigo

Pubblicato su CircusFuno l'11/07/16

If you want my future, forget my past, cantavano, esattamente vent’anni fa, le Spice Girls, fra le cui fila militava l’attuale signora Horner, ammantata di patriottica Union Jack. La Ferrari lo sa bene: rivoluzionata la line up tecnica al grido di “Liberiamo le seconde linee!”, ha goduto di un dolce 2015 appena sufficiente a lenire l’amaro 2014 ed era pronta a dimenticare il passato per gettarsi in un luminoso futuro. Che la luce infondo al tunnel cominci a somigliare, dopo nove gare di una stagione lunga e difficile, al treno che arriva in direzione opposta – calembour, questo,  attribuito a Sergio Marchionne, ah, saporito e letale karma! – è una considerazione che alberga ormai diffusamente anche negli animi degli estimatori duri e puri, suffragata dai fatti, che prendono il posto dei wannabe. Alla Ferrari non sono bastati i mezzi ingenti, due piloti validi e affiatati, una squadra agguerrita e un presidente che ha tutte le intenzioni di recuperare  peso politico all’interno della governance della Formula Uno: di gara in gara, ci si è trascinati in uno scenario non ottimale, ci si accontentava invece di essere contenti, fra problemi di affidabilità e una cronica incomunicabilità fra monoposto e gomme che non sembrano poter essere risolti da nessuna delle soluzioni messe finora in campo.
E così, dopo il detrito del gran Premio d’Austria, è arrivato il castigo del Gran Premio di Gran Bretagna. Cos’è andato storto, a Silverstone, per la Scuderia del Cavallino? Più o meno tutto, in ordine sparso: qualifiche infelici, ciclici cambi di … cambio, litigi con le gomme, penalità assortite, strategie … Un attimo, la strategia, forse, fa eccezione: era talmente azzeccata che l’hanno attuata tutti contemporaneamente, risucchiando i due piloti nel traffico, a lottare fra le lotte degli altri, a ogni cambio gomme.
Per completare il quadro, la gara delle Ferrari era stata compromessa già dalla discutibile decisione della direzione gara di far partire la corsa in regime di Safety Car: è vero che il castrante trenino iniziale ha demoralizzato tutti, ma ha penalizzato in particolar modo chi partiva nel mucchio come Vettel e Raikkonen, i quali, invece, avrebbero potuto avvantaggiarsi di una partenza “normale”, scalando posizioni utili. Senza voler indulgere nel se fosse e ben consapevoli che le gare sul bagnato hanno scritto pagine memorabili del motorsport ma segnato anche indicibili disgrazie, la sicurezza non deve, comunque, diventare un alibi per prendere sempre le stesse decisioni.  A Montecarlo e a Silverstone sono state fatte scelte che cozzano contro lo spirito stesso di uno sport  impastato nel rischio come la Formula Uno; oltre che privare gli spettatori dello spettacolo, si riduce il pilotaggio a un mero esercizio impiegatizio di esecuzione pedestre di un regolamento, che regala emozioni – ma emozioni espresse con parole brutte, molto brutte – solo nel comminare sanzioni a destra e a manca. Mai vista una tale autoreferenziata soddisfazione nello scontentare tutti come in questi ultimi anni.  If you wanna be my lover, you gotta get with my friend, diceva la solita canzone, ma qui, cari Eminentissimi Capoccioni di FIA, FOM e Direzione Gara, stiamo litigando senza requie, altro che amici e amanti!
Alla Ferrari, in conclusione, direi di ascoltare il resto della canzone, soprattutto quando esorta Now don’t go wasting my precious time: cara Ferrari, non perdere altro tempo prezioso a cercare di capire come sia finita sul binario di sviluppo sbagliato, con un treno di disillusione che ti viene contro, perché sei ancora in tempo a tirare la leva dello scambio e saltare sul  binario della rincorsa a Mercedes, sempre che non sia già stato occupato da Red Bull o da qualche altro inseguitore. La risposta alla domanda Tell me what you want, what you really really want è sempre quella:  non basta più tentare, bisogna riuscire.
If you wanna be my lover.

martedì 5 luglio 2016

Gran Premio d’Austria: niente noia, ma è troppo poco!

Pubblicato su CircusFuno il 04/07/16

GP AUSTRIA F1/2016 - SPIELBERG (AUSTRIA) © FOTO STUDIO COLOMBO PER FERRARI MEDIA
GP AUSTRIA F1/2016 – SPIELBERG (AUSTRIA)
© FOTO STUDIO COLOMBO PER FERRARI MEDIA

Dopo MelbourneBarcellona e Monaco ecco l’Austria: che questo non sia un campionato noioso dev’essere ormai chiaro a tutti, che frequentino le gare abitualmente a bordo pista, che le guardino nella consolante quiete del proprio divano su un canale multi regia o che seguano l’anelito del segnale wifi dietro a un innominabile streaming ceceno.

Nonostante il dominio Mercedes venga brutalmente ribadito a ogni gara, perché vincono anche quando collidono fra loro e, anche quando riescono nell’impresa di farsi fuori da soli, gli avversari che davvero potrebbero impensierirli non sono lì ad approfittarne – quindi, in definitiva, vincono anche quando si ritirano –  non c’è rischio di noia in questa stagione 2016. Niente noia perché questo è un campionato pieno di episodi che hanno scaldato il dibattito e tenuto vivo l’interesse; se ci pensate,infatti, dentro e fuori pista, ne sono successe parecchie: incidenti spettacolari, tentativi di ribellione alle schizofrenie regolamentari, nuove scuderie e nuovi piloti, gomme dalle prestazioni alle volte inspiegabili, duelli, prime volte, dichiarazioni pepate, pessime risposte date a domande poco opportune, scambi di piloti e discutibili divise celebrative, per citarne solo alcune. Siamo solo alla nona gara di quel che si preannuncia un estenuante tour de force di ventuno tappe e già solo nella condotta del dinamico duo di testa formato da Hamilton e Rosberg si legge la pervicace determinazione a non arrendersi a un finale già scritto: ai cento punti in quattro gare con i quali il vicino di box lo ha schiaffeggiato, infatti, il britannico esteta della sobrietà ha risposto con prestazioni maiuscole, per il bene della propria classifica ma –anche e soprattutto – per quello di chi questo sport lo vive e lo guarda. Quanto alla collisione, più che di giudicare la manovra dell’uno o dell’altro, viene voglia di immedesimar visi: in Hamilton, che era in pole, aveva perso il vantaggio, lo aveva recuperato e dunque perché mai non avrebbe dovuto provarci; in Rosberg, che partiva quinto per penalità non a lui imputabili (scusate, ma non avallerò mai questa assurdità di penalizzare piloti e squadre per sostituzioni di parti meccaniche), era arrivato autorevolmente al comando e quindi perché mai avrebbe dovuto far passare il rivale; in Wolf, che sì è facile, quando si è egemoni, fare i superiori che non danno ordini di scuderia, ma, per tutte le vallate della Stiria, regalare i podi ai bibitari coi lederhofer sulla tuta proprio no. Ecco, noi a casa, almeno, non ci siamo annoiati.
Niente noia, insomma: Verstappen a podio, Raikkonen che salva la faccia della Ferrari, Jenson Button eroe della domenica e Pascal Wehrlein vero driver of the day che danno lezioni a tutti con vetture inferiori su una pista vera, senza approfittarsi di pioggia e altre apocalissi che siano giunte a ribaltare gli esiti della gara.
Niente noia, ma tutto questo è comunque troppo poco. Sì, troppo poco.
Mercedes non ha, finora, trovato rivali che possano impensierirla, quindi il più delle volte è da sola, ad assistere alle lotte fra i suoi due piloti, spettatrice di se stessa: troppo poco. Ferrari paga un progetto magari estremo e una rincorsa impavida ma snervante ai rivali teutonici, cerca di battersi alla pari, azzarda e qualcosa raccoglie: troppo poco. Red Bull vive di acuti e di due piloti di razza, discontinua: troppo poco. Force India, invece, di exploit del singolo: troppo poco. Williams e Renault, una volta binomio da paura, non pervenute: troppo poco. Toro Rosso consistente, ma relegata a centro gruppo: troppo poco. Sauber e Manor raccolgono le briciole, se le briciole avanzano: troppo poco. McLaren Honda, più proclami della Ferrari , più investimenti di Mercedes e più delusioni di Renault: troppo poco. Per come questa Formula Uno è costruita, qualche gara non noiosa in mezzo a un lungo campionato è davvero troppo poco per questo sport, e non potrà essere altrimenti, finché rimarranno regolamenti asfissianti e incomprensibili ai più, finché verranno comminate penalità ridicole (scusate, non ce la faccio proprio), finché le corti dorate del Circus resteranno inaccessibili per gli appassionati, finché continueremo a vedere un’alternanza di cicli di dominio ora dell’uno, ora dell’altro, con i rivali relegati a spartirsi quel che resta, se qualcosa resta.
Tutto questo è troppo poco. Questa è Formula Maddeché, non è Formula Uno!
E – segnatevi queste parole, perché più di tanto non dirò e non ripeterò – non fa tanto bene all’atmosfera generale nemmeno questa specie di agone medievale fra opinionisti vari che, sfruttando la grancassa di Internet e dei social, spacciano la loro faziosità per diritto di cronaca. L’appassionato, il tifoso, quello vero, disinteressato e civile, è un patrimonio da tutelare e da ascoltare: chi ne cavalca il malcontento per qualche condivisione o like, invece, è solo, come si dice dalle mie parti, unvoccaperta. Pari, cioè, a quegli homini scipiens che, ieri, fischiavano il vincitore del Gran Premio d’Austria.

Il Minardi Day e il successo vero

Pubblicato su CircusFuno il 28/06/16

Laura_MinardiDay_2016
“Io distinguo due tipi di successo: quello che ho avuto nello sport e quello nel cinema. Il primo è mio e non me lo leva nessuno. Il secondo è quello che il pubblico ha deciso di darmi e che mi ha permesso di fare 120 film.”
C’è una marcata linea che unisce questo pensiero di Bud Spencer, scomparso ieri mentre questi pensieri sparsi si organizzavano, al messaggio del Minardi Day, tenutosi a Imola lo scorso sabato 25: quel che si ottiene con le proprie forze è un patrimonio che non subisce svalutazioni e, anzi, cresce e si rivaluta, fecondo, negli anni. Non solo: c’è qualcosa forse di più sfuggente ma altrettanto duraturo, cioè il riconoscimento del pubblico, l’affetto dei fans, che riesce a superare i limiti delle possibilità intrinseche, siano esse rappresentate da un budget irrisorio per correre un campionato di Formula Uno o dalla ripetitività di una sceneggiatura di un film per famiglie. Il pubblico può decretare il successo al di là di limiti e risultati ma questo accade solo quando dall’altra parte – dello schermo o della pista – c’è qualcuno che ha saputo offrire tutto di sé e inviare un messaggio capace di radicarsi. Così è stato per Bud Spencer, così è per Minardi.
C’è una marcata linea che unisce gente di tutte le età e provenienze; si radunano spinte dalla passione per i motori e si ritrovano nell’intimo affetto per le proprie memorie, sotto le insegne di un leone araldico dorato in campo blu che sormonta un tricolore, sotto le insegne di Minardi. Fra di loro scorre un nastro d’asfalto, una pista: Imola, già lo scrissi, non è un posto come un altro, ma uno di quei luoghi nati per caso che, col tempo, si sono presi un pezzo del cuore di ogni appassionato. E così, grazie a Giancarlo Minardi, sotto il sole rovente del primo, vero sabato d’estate, macchine come non se ne fanno più hanno morso l’asfalto di curve sulle quali non si corre più, facendo rimbombare nell’aria suoni che non si sentono più, cullate dall’entusiasmo di bambini di una volta che, da papà e da nonni, accompagnavano altri bambini, pieni del loro stesso stupore.
Fra piloti di un recente passato, collezionisti, tecnici e progettisti di ieri e di oggi, a Imola, il 25 giugno, scorreva un fiume di circa tremila appassionati, ognuno dei quali cercava un ricordo fra le monoposto in esposizione – che fosse una livrea, uno stemma, una particolare parte aerodinamica o solo un colore squillante – e ha finito per trovarne altri da riportarsi a casa: un autografo, un autoscatto in sala stampa o una nuova amicizia.
Il successo, quello vero, è riuscire a lasciare qualcosa nel cuore di un appassionato, qualcosa che ti spinga a venire e a cercare, fra bellissime vetture storiche e nuove regine dei circuiti, un pezzo di te condiviso con altri sconosciuti, qualcosa che – magari – ti riporti il tuo eroe di quand’eri bambino. Che sia stata la Minardi di Michele Alboreto. O la Dune Buggy di Bud Spencer.
Io, al Minardi Day, c’ero.

Montreal e un campionato a episodi per la Ferrari

Pubblicato su CircusFuno il 14/06/16

Campionato F1 SF16-H
Che ci crediate o no, avrei scritto un gran pezzo a commento dell’ultimo Gran Premio del Canada.  Però – sapete com’è – fra differite, lavoro, imprevisti della vita e fine prematura delle mie caramelle preferite, non ho avuto neanche il tempo di farmi cogliere dall’horror vacui del foglio bianco che mi sono resa conto che erano già andati via tutti gli argomenti migliori, tipo:
  • La strategia Ferrai era sbagliata ma anche no;
  • Vettel parte bene ma commette troppi errori;
  • Frizioni in casa Mercedes, quelle che non staccano bene in partenza e quelle fra i due piloti che si toccano in partenza;
  • Del perché RedBull e Williams abbiano preso a imitarsi a vicenda le rispettive tecniche di pit stop, visto che, da qualche gara a questa parte, i primi si coprono di ridicolo e i secondi realizzano il record della gara;
  • Daniel Ricciardo salverà il mondo ma che qualcuno lo salvi da Verstappen e dai cambi gomme;
  • Quel che non potè il muro dei campioni, poterono i gabbiani;
  • Anche questa volta le McLaren torneranno a impensierire i top team la prossima;
  • Ammazza quanto durano ‘ste gomme!

E io, che sono da sempre contraria a scopiazzare quello che altri hanno già saputo esprimere prima e meglio di quanto avrei fatto di mio, mi sono trovata nello stesso, fastidioso impasse trascorso nel box RedBull durante lo scorso Gran Premio di Monaco.
Vi interessi o no qualcosa dei fatti miei, è stato come rivivere l’incubo della preparazione della tesina di terza media: non essendo mai stata una grande scattista, ecco che tutti mi sfilarono, da sotto le ancora magre terga, tutti i temi più succosi del percorso multidisciplinare che dovevamo portare agli esami, come totalitarismi, Europa unita, l’allora recente conflitto dei Balcani e le stragi di mafia. Mi toccò, pertanto, un avventuroso percorso inventato sui due piedi che univa le grandi contraddizioni del Subcontinente indiano alla saggistica in francese sulla condizione della donna, passando per l’iconica figura della Traviata di Verdi. A ben vedere, trovare il bandolo del checciazzecca nella mia tesina multidisciplinare di terza media era equivalente a comprendere come diavolo Valtteri Bottas  fosse finito sul podio di Montreal, eppure è successo: La Formula Uno sa essere originale, del resto, è lo sport del don’t drink before you drive eppure Heineken is main sponsor. Originale, come il mio percorso multidisciplinare, come gli episodi della vita.
E di episodi, cari tifosi della Ferrari, ho idea che vivremo, in questo campionato avaro di soddisfazioni rotonde, come quelle che derivano da vittorie e poles. Non fingiamo di aver creduto alla rassicurante favoletta della buonanotte pre-campionato, quella di Macchinetta Rossa che si mangia il Lupo D’Argento e non viceversa: nemmeno nelle favole gli antagonisti stanno a guardare, lo sapevamo, però speravamo e questo è bello e lecito, ma la realtà sa essere astutamente crudele quando deve riportarci coi piedi per terra. Ora, però, non stracciamoci le vesti e non puntiamo il dito a caso, verso questo o quel capro espiatorio, perché sono proprio gli ultimi metri quelli più faticosi e rischiosi da percorrere quando ci si trova ad affrontare una salita, salita che, fra tutti gli inseguitori del team Mercedes, per Ferrari è stata più impervia che per altri perché affrontata assieme a un cambiamento, tecnico e manageriale, davvero epocale. Mancano ancora pochi cavalli al motore, ancora pochi decimi di secondo nel giro secco, ancora pochi giri sulle gomme per giocarsela alla pari con i rivali e saranno i più duri, quindi non commettiamo l’errore di bollare come ingannevole e inconcludente tutto il progetto 2016, che, a mio modesto parere, ha mostrato molta sostanza, accanto a lacune ed errori innegabili.
Consoliamoci, allora, con le battute – per esempio esclamando che il progetto 666, nel 2015, fece vedere sprazzi d’inferno alla Mercedes mentre il 667, nel 2016, li sta facendo vedere a noi tifosi – fidiamoci degli uomini e godiamoci gli episodi: l’arrembaggio in partenza e lo schiocco delle sverniciature che hanno scaldato al fuoco rosso la gelida domenica di Montreal ce li ricorderemo per un bel pezzo.

Daniil e Max. Numeri e destini nel crocevia del Gran Premio di Spagna

Pubblicato su CircusFuno il 18/05/16

Verstappen-Kvyat-F1-2016
Il Gran Premio di Spagna è stato un crocevia di destini rappresentati da numeri: i diciotto anni del più giovane vincitore di tutti i tempi, Max Verstappen; la striscia di dieci vittorie consecutive della Mercedes interrotta  per un colpo di (testa)coda; i trentasei anni di Kimi Raikkonen, croce e delizia; i tre secondi e mezzo di quell’ultima sosta di Sebastian Vettel ai box, un capolavoro di scuola Williams nella categoria degli undercut falliti; la qualifica da top ten di Fernando Alonso e il sesto posto di Carlos Sainz, alfieri della Spagna motoristica.
Da qualche parte, però, c’è un 1’29’’6 che non vivrà della stessa luce degli altri numeri di questa gara d’altri tempi, perché i giri veloci vengono dimenticati se non arrivano accompagnati da una pole position o, che so, da un Grand Chelem;accadendo singolarmente, invece, sono come la medaglia di legno alle Olimpiadi, il ma ho fatto il giro veloce che viene gettato come salvagente nel mare magnum di commenti a una gara altrimenti anonima: un contentino, insomma, per chi poteva – e voleva – fare meglio. Quell’ 1’29’’6 è l’altra faccia della medaglia della vicenda sportiva della Red Bull tornata a vincere e del suo giovanissimo pupillo, è il numero che rappresenta Daniil Kvyat nel crocevia dei destini del Gran Premio di Spagna.
Vittima della propria vettura in Australia, Driver of the day in Cina, empio tamponatore di Ferrari in Russia e ora eponimo del  “materiale sacrificabile” dell’accademia per giovani dotati che è l’impero bibitaro del Lord Marko, Daniil Kvyat ha sorseggiato l’amaro calice che, prima di lui, è toccato ai vari VergneBuemiAlgersuari e – nomen omen – Speed, presi e sbattuti dagli altari alla polvere con la stessa repentina leggerezza con la quale si spostano le pedine al gioco dell’oca. E così, dopo aver assaggiato una Red Bull finalmente performante, seducente nelle forme e pericolosamente – per gli avversari – somigliante al missile di qualche anno fa, quello che ti metteva le ali sul serio, il buon Kvyat, dopo aver passato un 2015 a presenziare a grigliate e conclavi – a seconda di come volessero interpretarsi le cicliche fumate bianche che partivano dal suo propulsore – proprio quando vedeva concretizzarsi la malcelata speranza di mettere insieme una buona stagione fra podi, piazzamenti e  – perché no? – vittorie, si ritrova retrocesso in quel di Faenza, a guardare, a bordo di una Toro Rossa di recriminazioni, il suo compagno di squadra Sainz finirgli davanti e la sua ex monoposto vincere la prima gara da due stagioni. Vincere, guidata da un altro. Un altro che è sì un predestinato, ma che ha avuto dalla sua, oltre a una  vettura valida, una strategia azzeccata e una buona dose di fortuna: la verità è che Max può, Daniil no.
Così, mentre nelle prime posizioni si disputava un’altra gara, Daniil Kvyat ha stampato quel fastest lap, 1’29’’6; era doppiato, ma, per un curioso caso, nel crocevia di destini del Gran Premio di Spagna s’è trovato proprio lì, in mezzo ai duellanti, a osservare quel che accadeva e, forse, a rimuginare su quel che sarebbe potuto essere, ma … Max può, Daniil no.

Il crocevia dei destini del Gran Premio di Spagna ci ha lasciati, alla fine, con qualche altra considerazione: benché tanti avrebbero gioito se il vecchio Raikkonen fosse riuscito a sorpassare il giovane Verstappen, mostrando – a lui e a noi romantici – un po’ della mai sopita classe, è pur vero che a questo libro liso e stinto della Formula Uno, che attira sempre meno lettori, è stata aggiunta una nuova e patinata pagina di storia. Abbiamo e avremo a lungo un nuovo più giovane vincitore di gran premio, ma il record del maggior numero di vittorie consecutive, undici, appartiene ancora alla McLaren di Senna e Prost, annata 1988: passi per la storia, che va riscritta ogni tanto, ma le leggende – quelle vere – le lasciamo stare.