giovedì 23 ottobre 2014

Il Gran Premio dei due Michele


La domanda che tutti – siti specializzati, giornali sportivi, fanpages, perfino le pagine ironiche su Facebook – hanno posto all’etere nei giorni precedenti il Gran Premio di’Italia 2014 è stata questa: qual è la gara svolta a Monza che ti è rimasta nel cuore o quantomeno nella memoria?
Sarà per quel che gli è successo l’inverno scorso, ma tolti i nostalgici dei vari Gilles, Ronnie, Ayrton e qualche paleontologo che ricacciava indietro una lacrimuccia per Ascari e Rindt, la stragrande maggioranza delle risposte convergeva su una gara e una sola: Monza 2006, il Gran Premio del Passaggio di Testimone, il giorno del –primo – addio alle corse di Michael Michele Nostro Schumacher.



Devo dire che anche io mi ricordo quella gara con un bel po’ di affetto, ma devo ammettere che all’epoca ho seguito quella parte di campionato un po’ distrattamente per via di un tipo che avevo conosciuto.

Strano, però, che nessuno, fra le centinaia di interventi e commenti che ho letto, nemmeno sulla pagina facebook della Scuderia Ferrari, abbia ricordato questa data: 13 settembre 1998. Si correva quell’anno il Gran Premio d’Italia e le due Ferrari vinsero in doppietta, esattamente venti edizioni – e venti anni dopo – l’ultima doppietta Ferrari a Monza, datata 11 settembre 1988. Data mitologica quest’ultima per almeno due motivi: il 14 agosto di quello stesso anno se n’era andato Enzo Ferrari, a ricordarci che niente è immortale fuorché la gloria; durante quella stagione l’imbattibile e superlativa Mc Laren Honda di Senna e Prost avrebbe vinto tutte le gare in calendario, tranne una. Il Gran Premio d’Italia, appunto.
Monza 1988 non me la ricordo, ma ho bene in mente il personale mantra che mio padre recitava quando si sedeva per assistere ai Gran Premi, in quegli anni: “Forza Ferrarina, corri Alboreto!”
Dicono che andò così, alla fine:



Monza 1998. Ero a un matrimonio e l’Inter aveva da poco acquistato Ronaldo – quello vero, non quello che in bacheca ha gli shampoo al posto dei trofei. Quel giorno c’era anche la partita e il lungimirante ristoratore aveva messo un bel maxischermo in una saletta attigua, quindi è inutile precisare che, arrivati intorno alle 14, tutti sparirono letteralmente dalla sala, inclusi i camerieri; io e i miei cugini facevamo avanti e indietro fra ristorante e televisore, a turno, in modo da non scontentare gli sposi sguarnendo i tavoli e poterci raccontare le sequenze di gara che c’eravamo persi.
La partenza di Schumacher e Irvine non fu spettacolare, iscrivibile nel grande libro intitolato Come sprecare al meglio una pole position e le Mc Laren – ancora loro, ma versione frecce d’argento motorizzate Mercedes e disegnate da Newey – correvano parecchio, pure troppo. Ne venne fuori una gara piuttosto combattuta, fra sorpassi e uscite di pista, poi a un certo punto uno dei miei cugini, di ritorno dal turno al maxischermo, si avvicinò al tavolo e, allargando le braccia, con un gran sospiro, fece:
“Ha scijt …”
Traduzione per i non abruzzesi costieri: è uscito …
Da bravi tifosi murphyzzati da una ventina d’anni di stagioni all’asciutto di titoli, completammo la frase in un modo e uno solo: Michael Schumacher è uscito finendo nella ghiaia.
“… Hakkinen!” esclamò, invece, mio cugino, sedendosi trionfante.
Questa sua personale cronaca del giro quarantacinque di quell’edizione della gara gli costò minacce varie, molliche di pane gettate nel bicchiere del vino, sottrazione di cibo dal piatto e altre varie ritorsioni, compresa la visione dell’intero, delirante post gara mandato in onda dalla RAI.



Le cose che potevano andare male continuarono a farlo per un altro paio d’anni, ma è sempre un bel rivedere la gara di quel 13 settembre 1998, da allora per me  il Gran Premio dei due Michele.

Ci mancate.

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