La domanda che tutti – siti specializzati, giornali
sportivi, fanpages, perfino le pagine ironiche su Facebook – hanno posto all’etere
nei giorni precedenti il Gran Premio di’Italia 2014 è stata questa: qual è la
gara svolta a Monza che ti è rimasta nel cuore o quantomeno nella memoria?
Sarà per quel che gli è successo l’inverno scorso, ma tolti
i nostalgici dei vari Gilles, Ronnie, Ayrton e qualche paleontologo che
ricacciava indietro una lacrimuccia per Ascari e Rindt, la stragrande maggioranza
delle risposte convergeva su una gara e una sola: Monza 2006, il Gran Premio del Passaggio di Testimone,
il giorno del –primo – addio alle corse di Michael Michele Nostro Schumacher.
Devo dire che anche io mi ricordo quella gara con un bel po’
di affetto, ma devo ammettere che all’epoca ho seguito quella parte di
campionato un po’ distrattamente per via di un tipo che avevo conosciuto.
Strano, però, che nessuno, fra le centinaia di interventi e
commenti che ho letto, nemmeno sulla pagina facebook della Scuderia Ferrari, abbia
ricordato questa data: 13 settembre 1998. Si correva quell’anno il Gran Premio
d’Italia e le due Ferrari vinsero in doppietta, esattamente venti edizioni – e venti
anni dopo – l’ultima doppietta Ferrari a Monza, datata 11 settembre 1988. Data mitologica
quest’ultima per almeno due motivi: il 14 agosto di quello stesso anno se n’era
andato Enzo Ferrari, a ricordarci che niente è immortale fuorché la gloria;
durante quella stagione l’imbattibile e superlativa Mc Laren Honda di Senna e
Prost avrebbe vinto tutte le gare in calendario, tranne una. Il Gran Premio d’Italia,
appunto.
Monza 1988 non me la ricordo, ma ho bene in mente il
personale mantra che mio padre recitava quando si sedeva per assistere ai Gran
Premi, in quegli anni: “Forza Ferrarina, corri Alboreto!”
Dicono che andò così, alla fine:
Monza 1998. Ero a un matrimonio e l’Inter aveva da poco
acquistato Ronaldo – quello vero, non quello che in bacheca ha gli shampoo al
posto dei trofei. Quel giorno c’era anche la partita e il lungimirante
ristoratore aveva messo un bel maxischermo in una saletta attigua, quindi è
inutile precisare che, arrivati intorno alle 14, tutti sparirono letteralmente
dalla sala, inclusi i camerieri; io e i miei cugini facevamo avanti e indietro
fra ristorante e televisore, a turno, in modo da non scontentare gli sposi
sguarnendo i tavoli e poterci raccontare le sequenze di gara che c’eravamo
persi.
La partenza di Schumacher e Irvine non fu spettacolare,
iscrivibile nel grande libro intitolato Come
sprecare al meglio una pole position e le Mc Laren – ancora loro, ma
versione frecce d’argento motorizzate Mercedes e disegnate da Newey – correvano
parecchio, pure troppo. Ne venne fuori una gara piuttosto combattuta, fra
sorpassi e uscite di pista, poi a un certo punto uno dei miei cugini, di
ritorno dal turno al maxischermo, si avvicinò al tavolo e, allargando le
braccia, con un gran sospiro, fece:
“Ha scijt …”
Traduzione per i non abruzzesi costieri: è uscito …
Da bravi tifosi murphyzzati da una ventina d’anni di
stagioni all’asciutto di titoli, completammo la frase in un modo e uno solo:
Michael Schumacher è uscito finendo nella ghiaia.
“… Hakkinen!” esclamò, invece, mio cugino, sedendosi
trionfante.
Questa sua personale cronaca del giro quarantacinque di quell’edizione
della gara gli costò minacce varie, molliche di pane gettate nel bicchiere del
vino, sottrazione di cibo dal piatto e altre varie ritorsioni, compresa la
visione dell’intero, delirante post gara mandato in onda dalla RAI.
Le cose che potevano andare male continuarono a farlo per un
altro paio d’anni, ma è sempre un bel rivedere la gara di quel 13 settembre
1998, da allora per me il Gran Premio
dei due Michele.
Ci mancate.
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