pubblicato su circusf1 il 28/09/15
Che qualcuno mi
spieghi, se possibile, cosa sarebbe uno “sfogo controllato”. Dal momento che le
rassegne sul motorsport non ospitano disanime sulla sintassi – e nemmeno la
sintassi, spiace notarlo, in molti casi - ritengo che non si trattasse di una
disamina sulla figura retorica dell’ossimoro - che viene usata qualora si
accostino due concetti dal significato antitetico, se non opposto, per
rafforzare un concetto, come nell’abusatissima espressione silenzio assordante. Ritengo, invece, che si trattasse
dell’ennesima esternazione fiorita sull’ennesima polemica ai margini di un
ennesimo Gran Premio che poche sorprese ha regalato all’osservatore affamato di
clamore.
Se non addiveniamo a
una definizione concettuale, però, spiegatemi, per piacere, come realizzare in
pratica uno “sfogo controllato”; penso che sarebbe molto utile nella nostra
iperstimolata società e nella mia piccola esistenza da consulente di provincia
trovare una via che ci consenta, che so, di rappresentare i nostri sentimenti
in coda al Catasto abbandonandoci sì all’impeto del momento ma mantenendo
l’invidiabile aplomb di un ufficio stampa scandinavo.
Un paio di cose
cercherò di spiegarle io, allora, e lo farò in termini canterini, visto che
questa settimana s’è fatto un gran … cantare a proposito del post gara di
Singapore: la questione non è tanto un “bisogna saper perdere” quanto un “non
sempre si può vincere”. Per come la vedo io un fuoriclasse, un numero uno vero,
non imparerà mai a perdere. Non può. Né può essere appagato dall’arrivare
sempre secondo, come ci ricordava un Uomo Saggio, ammonendoci che il secondo è
il primo dei perdenti; chiedere per conferma a Eratostene, per noi un genio ma
per i suoi contemporanei niente più che un Beta, uno che era il secondo
migliore in tutto. Che non sempre si possa vincere fa, invece, parte
intrinsecamente dello sport: può non piacere ma non si compete se non si
contempla la sconfitta fra le opzioni.
Fernando Alonso sa
bene che non sempre si può vincere per cui non cercate di insegnargli a forza
che bisogna saper perdere. Non si può. Pur di non restare un Eratostene in
Rosso, ha preferito inerpicarsi in un sentiero in salita che si è rivelato ben
più scosceso del previsto, dal quale scorge chiaramente la sua Nemesi in Nero
pareggiare Senna a Suzuka e involarsi verso il suo terzo titolo mondiale. Il
terzo titolo mondiale che anche lui vuole, come Senna che anche lui idolatrava,
in quella Suzuka che era stata sua.
Da quel sentiero
sente ancora più chiaramente la sua Nemesi Bionda rendere allegro e bellissimo
quel mondo che lui sentiva alieno e frustrante. Di qui lo sfogo, i we look like
amateurs, il gp2 engine; sfogo che qualcuno avrebbe voluto “controllato”, sfogo
che – a parere di chi scrive – non poteva essere altro che incontrollato.
Detto quanto sopra e
fuori di sintassi, se in questa plutocrazia tecnologica che è, attualmente, il
nostro Circus conta ancora qualcosa che non siano gli ingaggi miliardari e le
polemiche del lunedì, vorrei che il prossimo principe della velocità, prima di
affannarsi a spargere scuse riparatorie per la rete, pensasse a quelle migliaia
di ingranaggi che mandano avanti la grande macchina, che nell’oscurità vedono
frustrato dalla mancanza di risultati anche il loro lavoro. Poi, magari, potrà
anche darsi allo sfogo. Incontrollato, ma privato.
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