martedì 8 settembre 2015

Il Gran Premio d'Italia e la linea che divide i Bar dal bar

Pubblicato originariamente su circusf1 il 07/09/15

Questa volta vi parlerò di una linea. Non è quella ribollente di passione, tracciata fra Maranello, Imola e tangente all’infinito i cuori di innumerevoli appassionati; non è quella sinuosa, tempestosa e avvincente che lega a sé le piste storiche di questo sport – Silverstone, Monaco, Spa e Monza, appunto; non è quella intermittente che congiunge il destino del meraviglioso impianto brianzolo alla trista misura del portafoglio di MrE. Non è nemmeno l’impressionante tratto che unisce i trionfi di Lewis Hamilton in questo campionato che fa di tutto per non essere noioso, nossignori. È misurata in unità di pressione, in bar, e non separa - come asetticamente dichiarato a fine gara - una condizione di pericolo da una di sicurezza, bensì divide la logica dal ridicolo e mai come in questo fine settimana è stata poco visibile.
La logica vorrebbe che un’autorità che gestisce la sicurezza in uno sport che ha visto morire un giovane di venticinque anni per una congerie di fatalità e stupidità e non ha ancora asciugato le lacrime versate per un racer trentasettenne morto a cavallo del suo sogno, proprio da questi tragici accadimenti, apprendesse, imparasse, evolvesse. Quantomeno osservasse una condotta univoca, seguendo gli stessi criteri ed esponendo regole chiare: la severità senza equità è solo accanimento, infatti. Calando queste parole nel contesto dell’ultimo Gran Premio di Monza, se ne trae che, se si ha il sospetto che una gara possa partire in condizioni di non-sicurezza, la gara non dovrebbe partire finché la sicurezza non fosse ripristinata; per far ciò l’autorità preposta ha il diritto ma soprattutto il dovere di imporre modifiche e correzioni, in seconda istanza sanzioni, finanche di bloccare la partenza, a seconda del grado di rischio insito rilevato.
Il ridicolo mostra, tramite le televisioni di mezzo mondo, una burocrazia autoreferenziale che, non paga di aver invaso le nostre vite in forme molteplici e asfissianti, dilaga perfino laddove l’imprevisto, il brivido, l’imponderabile, l’istinto e la passione pura, cioè quanto di più immisurabile vi sia, sono essenza ed esistenza: nel nostro motor sport. Non si depenna il dominatore di una gara avvincente e attesa con l’ottusa grazia di uno scrutinatore di documenti, nascondendo la mancanza di una regolamentazione certa e cogente dietro la patina di una non ben chiarita “esigenza di sicurezza”. E’ ingiusto verso chi paga – il pubblico ma anche investitori, sponsor, fornitori dell’indotto – ed è irrispettoso verso una scuderia vincente, blasonata e ben gestita come la Mercedes. L’insieme dei due aspetti vale anche nei confronti degli avversari, in questo caso Ferrari e Williams: non c’è onore, non c’è merito, non c’è paga e nemmeno gusto a vincere in un modo simile, meno che mai se è la propria gara di casa.
Così, quando le ombre si allungano fra le frondose latifoglie del Parco della Villa Reale, la questione bar lascia il posto alle questioni da bar: è colpa della FIA, di Bernie, di Pirelli, di Mercedes, arbitro cornuto, governo ladro, non ci sono più le mezze stagioni eccetera. Non si conclude affatto la vicenda Gran Premio d’Italia e se resterà è tutt’ora un grande interrogativo.

L’ultimo pensiero lo dedico a voialtri che passavate sotto a quel magnifico podio e avete pensato bene di esternare uno sfogo dimensionato sulle capacità del vostro cervello: la linea che corre fra voi, banali passanti, e gli altri, gli appassionati veri, è un’enorme muraglia fortificata. Fischiatevi.

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