mercoledì 30 dicembre 2015

Lo Specialone Natalizio parte seconda - Ferrari: l'automobile, la Dea Futurista

Pubblicato su Circusf1 il 23/12/15

Quando il Manifesto del Futurismo apparve su Le Figaro il 20 febbraio 1909, forse nessuno pensava che sarebbe stato messo in pratica da un tenace meccanico della provincia italiana. Enzo Ferrari, infatti, con audacia e ribellione, cantò l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e la temerarietà; spiegò al mondo la bellezza della velocità e lo fece con un’automobile da corsa, un’automobile ruggente più bella della Vittoria di Samotracia. Fu l’uomo che tiene il volante, lanciato a corsa come la Terra attorno alla sua orbita, lottando.

Non starò qui a insistere affinché certi bizzarri alieni (vetteliani, alonsisti, rosberghiani, mclarenisti e tutte le altre tribù cui appartengono i fan del motorsport, le quali si sono battezzate con nomi che fanno pensare a pericolosi extraterrestri mangiaumani) comprendano le ragioni della fedeltà a una monoposto, a un marchio, a un’essenza chiamata Ferrari; una fedeltà talvolta fanatica, spesso acritica, troppo manichea ma sempre genuina e che non ha uguali nel mondo dello sport. Una fedeltà espressa in modi straripanti e, per taluni detrattori, offensivi, tanto da giustificare veri e propri insulti, che, il più delle volte, affogano in una marea rossa.
Non starò qui a chiedermi cosa afferri e rapisca le anime degli appassionati e li trascini via come novelli Paolo e Francesca, da cosa nasca quell’amor che a nullo amato amar perdona che stringe i Ferraristi alla Ferrari. Non si spiega, esiste come le stagioni, c’è.
Ben prima degli hashtag, dell’economia globale, del brand marketing, dell’informazione in tempo reale e del mondo connesso, Enzo Ferrari da Modena s’inventò qualcosa che oltrepassò i confini nazionali e le barriere dei circoli chiusi degli appassionati di motori per unire in un sol popolo gente eterogenea proveniente dai quattro angoli del globo, qualcosa che era più di una semplice automobile da corsa vincente. La sua Ferrari da corsa, rossa, con il cavallino rampante simbolo di vittoria era davvero la dea futurista anelata dai poeti all’inizio del secolo ma se quella dea, quell’anima pulsante, ebbe un corpo, un involucro tangibile che la rendesse desiderabile e terrena, ciò fu grazie anche a quanti misero il proprio talento al servizio dell’Uomo di Modena.
Vittorio Jano, Giuseppe Busso, Alberto Massimino, Aurelio Lampredi e Carlo Chiti appartengono a tempi leggendari; furono coloro che scrissero la storia assieme al fondatore, che iniziarono con lui e, spesso, anche contro di lui. Harvey Postlethwaite, John Barnard, Gustav Brunner, Enrique Scalabroni e Aldo Costa seminarono un raccolto prospero che però fece raccogliere meno in termini di quantità di risultati ottenuti. Mauro Forghieri e Rory Byrne sono stati gli uomini dei record: il primo, Furia, visse l’epoca dei cavalieri del rischio e, più che un semplice progettista, fu genitore di monoposto, curandole dal primo dei bulloni fino all’ultima mano di vernice; il secondo fece parte della più vittoriosa spedizione nel territorio della Formula Uno moderna, assieme a fenomenali compagni d’avventura. Tutti erano dominati e avvinti dalla passione, tutti fecero i conti con il nitrito del Cavallino; molti provarono l’ebbrezza di lavorare spalla a spalla con Ferrari in persona, durante la sua lunga vita, gli altri ne continuano l’opera in sua presenza, anche ora che è passato dall’altra parte. Agli ultimi, ai JamesAllison, un solo precetto: la Ferrari migliore è quella che dobbiamo ancora costruire.

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