Pubblicato su CircusF1 il 17/11/15
Ancora una volta
i cancelli dell’autodromo Carlos Pace si sono aperti e chiusi su un week end di
Formula Uno, lì, a Interlagos, dove il Circus ha piantato e levato le sue
multicolori tende. Ancora una volta a San Paolo, Brasile, terra di gioia
infinitamente ricca di ogni genere di risorsa e traboccante di cultura e
passione per il motorsport.
Ancora una volta la Formula Uno ha messo in scena un
abituale canovaccio, fatto di pubblico caloroso, pista sinuosa, discutibili
novità in griglia, strombazzate cronache sulla vita extralavorativa del
lucciante monarca in carica e spettacolarità latente; poco altro in più, del
resto, avendo questo campionato agli sgoccioli esaurito ormai tutti gli
argomenti.
Ancora una volta, dunque, ci troviamo a commentare il finale
di una domenica già scritto dalle prime ore del venerdì, con il brio delle
posizioni più arretrate a far da contraltare alla fissità di quelle di testa;
ancora una volta cerchiamo sinonimi per definire il dominio Mercedes, la
rincorsa della Ferrari, la via crucis della McLaren Honda o il vagare della Red
Bull.
Ancora una volta e più che mai in Brasile, nella sua San
Paolo, ci si rende conto che volendo accostare Ayrton Senna a qualsivoglia elemento della Formula Uno attuale non
si dovrebbero usare parole quali “eguagliare”, “superare” o “somigliare”; qui,
dove lo spirito immortale di Magic , più che memoria, è aria che si respira.
Ancora una volta e soprattutto in questo fatale e tragico
metà novembre, quanto senso ha
guardare venti giovani miliardari inseguirsi su un nastro d’asfalto, nella
speranza che un’ala mobile regali loro un sorpasso? Nessun senso? No, tutto il
senso del mondo, perché, se, da un lato, il motorsport non potrà essere la
risposta allo sgomento e alla rabbia impotente che proviamo quando dalla notte
della civiltà mani assassine si levano a colpirci, dall’altro il motorsport è
ciò che ci aggrega nella nostra passione assieme ad altri appassionati, vicini
e lontani, divertendoci con le apocalissi di Maldonado, l’intraprendenza di
Verstappen, l’iconografia della nonna di Barrichello o le gesta social di
Alonso, così come il calcio, la musica o il piacere di cenare assieme agli
amici avevano unito, quella sera, centinaia di persone a Parigi, liberi e incolpevoli. Domenica la rassicurante noia del
Gran Premio del Brasile ci ha accolto come un abbraccio tranquillizzante,
dandoci ristoro dall’orrore con un’iniezione della nostra normalità perduta.
Ancora una volta una stagione è finita mentre la successiva
è già iniziata, nei piani delle Scuderie e nelle aspirazioni dei tifosi;
pensare la futuro e costruirlo giorno per giorno sia il nostro insignificante
contributo contro l’idea di annientamento di ogni genere di futuro.
Arrivederci ancora
una volta, Interlagos. Au revoir, Paris.
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