mercoledì 3 dicembre 2014

The Formula One Star Trekkers

Era dai tempi dell’avvicendamento del capitano Kirk e del Capitano Picar sulla plancia dell’Enterprise che un passaggio di consegne non smuoveva un così grande impeto di fan: è meglio il mio, no il nostro, il nostro è più bello, il nostro è più biondo, è più veloce, parte meglio, faccia di serpente, specchio riflesso …
Un po’ come hanno fatto loro due, l’ultima volta che hanno incrociato le ruote in questa stagione:


Me li sento ancora i loro team radio: mi ha toccato, mi ha tagliato la strada, hai visto che ha fatto, denunciatelo, adesso che scendo le prendi, io chiamo mio fratello grande …

Mi sgancio dalle risse e, per le pari opportunità, scelgo di dedicare a entrambi una gara a testa dal mio personale palmares, prese nella sottosezione “lacrime di commozione” ( le altre sono “moderata soddisfazione” “cardiopalma / trapianto di fegato” “favole della buona notte”). In rigoroso ordine alfabetico e anagrafico comincio da Alonso.

Gran Premio d’Europa 2012  - Valencia

Il giorno che si è  tenuta questa gara ero a un matrimonio.


Vabbò, non è che gli amici si coordinano con il campionato di Formula Uno – nel mio caso nemmeno con i mondiali di calcio – e in questo caso c’era l’aggravante della mancanza assoluta di televisori e collegamenti vari. E non vi eravate organizzati con pc, streaming, tablet, segnali di fumo? No, perché sembrava che non ne valesse la pena, infatti mi ero detta: ok, il campionato è appena all’inizio, uno parte undicesimo e l’altro millemillesimo, ci manca solo che gli montino il volante al contrario così ingrana la retro invece della prima … Andiamo serenamente, che vuoi che succeda.
Che vuoi che succeda, appunto. Durante il tragitto di ritorno a casa, abbiamo acceso la radio per curiosità e la prima frase che sentiamo è vittoria di Fernando Alonso sulla Ferrari a Valencia. Ah Ferna’, macheccosa? Mi sono sorbita con l’afflato mistico di un cistercense gare dal sommo sopore e tu mi vai a vincere la prima gara che mi perdo? Chiedo scusa, non semplicemente a vincere: a dominare, demolendo, sorpasso dopo sorpasso, ogni malcapitato contendente! Per di più venendo a parti con la Sorte, che, in questo caso, aveva deciso di esserti amante sincera e non consorte menzognera, anticipando il fine gara per i tuoi più accreditati contendenti (Hamilton e Vettel).
E’ cominciata, così, un’appassionata ricerca, attraverso le immagini dei fansites e delle rassegne stampa, di un filmato che potesse darmi l’idea di quel che era successo. Mi sono fatta delle compiaciute risate davanti all’espressione stralunata del buon ingegner Andrea Stella che non sa se il pilota stia bene o stia male, dal momento che non riesce più a parlare con lui che, intanto, è sceso dalla monoposto e sta festeggiando come un indemoniato sotto una tribuna gremita di tifosi; mi ha fatto simpatia pure il Kaiser Schumacher, il quale si godeva il ritrovato podio come un miracolato, mentre Kimi Raikkonen, beh, lui era semplicemente troppo figo per tutto il resto del mondo. Mentre sto scrivendo ho rivisto una volta ancora quei filmati e mi ha preso una stretta al corpo, non saprei definire bene dove di preciso, se stomaco, cuore o gola, a vedere questo diversamente giovane duro come il marmo reggersi per tenere il peso della commozione che lo sta sopraffacendo sul podio. Si, diversamente giovane, perché Fernando Alonso, anche agli esordi, pur essendo sfacciatamente ragazzino, non ha mai avuto l’espressione di  uno che è poco più che diciottenne e sta realizzando il suo sogno di bambino, bensì l’aspetto di un uomo maturo così seriamente preso da non trovare spazio per altro; i suoi festeggiamenti per le vittorie passate sono sempre stati esternazioni liberatorie di forza più che di allegria e soddisfazione, da hidalgo, insomma, o da samurai, come preferisce lui. Questa volta no, questa volta ha lasciato la corazza e la katana sul traguardo, abbandonate ai lati della pista come se si trattasse delle visiere usa e getta e la sua durezza si è sciolta fin dal team radio, dal quale si poteva sentire distintamente un’incontenibile risata di gioia che, lentamente, si trasformava in un emozionato singhiozzo.


Ok, riponiamo i fazzoletti, facciamo la revisione all’Enterprise e passiamo all’altro …

Gran Premio d’Italia 2008 – Monza

Nel 2008 guardavo ancora le gare nella cucina dei miei davanti al vecchio tubo catodico latore di molte emozioni; era il campionato di Massa vinto da Hamilton – a proposito, Timo Glock: di tutti i modi per non essere mai dimenticato hai scelto il peggiore – che segnò l’inizio del letargo di Raikkonen, il ritorno di Alonso da mamma oca Briatore, il primo gran premio in notturna passato alla storia non in quanto tale ma per il tristissimo crash-gate e la conquista del Tempio della Velocità da parte di un ragazzino riccioluto con un propulsore Ferrari montato su una Minardi chiamata Toro Rosso.
La gara di Monza è sempre anomala, tanto che le scuderie la preparano a parte, come Canada e Montecarlo; per di più con pioggia battente e freddo fuori stagione e le forze in campo che, soprattutto per le squadre più in forma, si equivalevano, gli esiti si prevedevano incerti. Avvenne, allora, che Nostra Signora della Parabolica decise di scendere in pista accanto a una di quelle scuderie minori, che si presentano a ogni Gran Premio quasi con la paura di disturbare, e rimase nel suo box per tutto il week end. Pole position, poi lo start dietro la safety car, pit stop, vittoria, Deutschland Über Alles e Fratelli d’Italia, proprio come l’ultima volta lì, due anni prima, una vita prima. Ogni goccia di pioggia che scendeva dal cielo era una goccia di sudore e frustrazione che solcava la fronte dei campioni in lotta per il titolo, scacciati a combattere dietro, a centro gruppo; ogni goccia di champagne che pioveva da quel podio sospeso era un rigurgito di soddisfazione per tutti gli appassionati che vedevano tre outsiders – accanto a Vettel l’ineffabile Heikki Kovalainen e l’indimenticabile Robert Kubica – godersi il meritato trionfo, com’è sempre stato in Formula Uno e come sempre di meno accade.


È nata una stella, disse più d’uno, profeticamente. Io ricordo che quando lo vidi comparire sul podio esclamai Ma è nu citil', un bimbetto – n.d.r. : per gli usi propri degli appellativi abruzzesi ai piloti di Formula Uno studiare bene questo post. Un ragazzino di cui allora mi colpirono la genuina allegria e i begli occhioni sgranati e nel quale adesso, mentre rivedo qualche filmato di allora, noto già presente il lampo del predatore affamato, che, negli anni successivi, frantumerà record, renderà vana la competizione di avversari blasonati e farà piangere lacrime amare a un gran numero di tifosi. Lacrime un po’ anche mie: quella domenica del 2008, quando vidi salire lui e Gerhard Berger sul bellissimo podio sospeso di Monza, subii l’effetto combinato della commozione per il giovanissimo vincitore, l’ex pilota che trionfò lì nel 1988 e il recente passato glorioso dell’automobilismo italiano evocato dall’iconica successione degli inni nazionali e mi concessi un vivido viaggio nel Paese dei Lucciconi; negli anni successivi, invece, il buon Sebastian mi ha spedito, nolente, in tour sull’Arcipelago delle Isole Maché – Maché CavoloPetrov 2010, Maché Newey 2011, Maché Fortunasfacciata 2012, Maché Telodicoaffà 2013.

E ora, in questa coda di 2014, Fiorano, ultima frontiera: avvistata la Ferrari 2012 numero cinque con Sebastian Vettel a bordo. Si riferiscono pellegrinaggi sotto la pioggia e allucinazioni mistiche di gente che credeva di vedere di nuovo Michael Michele Nostro Schumacher. A me ha fatto solo un effetto indescrivibile vedere l’Avversario sulla macchina di Alonso: si, non lo nego, mi sono affezionata già anche io, ma i cinque anni del Principe delle Asturie vestito di rosso non li archivio tanto automaticamente.


Come ha affermato lui stesso in qualche intervista dopo il Gran Premio di Abu Dhabi, il detto dice che chiusa una porta se ne apre un’altra, ma qualcuno ha fatto notare che se non la si chiude bene fa corrente. Caro Fernando Alonso, ci penserò a ogni gara della prossima stagione e, fidati, farà sempre corrente!


Come succede a tutti gli appassionati con il cuore a Maranello, le prime dichiarazioni ufficiali da pilota Ferrari dell’ex ragazzino dai begli occhioni sono state sintetizzabili più o meno in un Oh è tutto così rosso e bellissimo. Caro Sebastian Vettel, un certo Phil Hill ha detto che stare in Ferrari era come sbattere violentemente contro un muro di mattoni ma che questo muro era il più bello del mondo, allora io ti auguro di non farti troppo male.

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