mercoledì 15 ottobre 2014

Being Ricardo Zonta - Spa 2000

Il campionato di Formula Uno dell’anno Duemila me lo ricordo bene. E chi non se lo ricorda, soprattutto se nato nel 1979, l’anno dell’Ultimo Titolo?


Ravanando nella memoria, purgando i ricordi dalla patina agiografica che li ricopre, c’è un episodio di quell’anno che mi ha davvero fatto saltare sul divano – anche se allora non ancora ce l’avevo. Era una delle solite estati torride a umidità novantacinque percento che si avvicendano dalle mie parti e me ne stavo davanti alla televisione, sperando che l’immedesimarmi con tutte le forze in uno dei colleghi tifosi appollaiato sulle tribune nella foresta delle Ardenne potesse recarmi un po’ di refrigerio; nel frattempo, sfruttando le immense potenzialità delle offerte estive messaggia a sbafo tutto a tutti che allora andavano per la maggiore - in questa era geologica che sto citando non esistevano ancora Facebook e Twitter, infatti – commentavo incessantemente la gara con una mia amica d’infanzia, con la quale condivido la passione per le corse e il nome di battesimo. C’era stato di tutto: la pioggia – quando mai – la partenza dietro la safety car, uno a caso fra Barrichello e Fisichella che finisce la benzina – circostanze che si ripetono ciclicamente nelle varianti gomme sparite/ mal avvitate /forate, tentativi di omicidio da parte di rookie e varie altre sfighe assortite – genialate e pirlaggini equamente distribuite nel momento di passare dalle gomme da bagnato a quelle da asciutto e, soprattutto, un Mika Hakkinen in grande spolvero. Aveva una macchina bellissima, una Mc Laren Mercedes figlia di papà Newey dalla linea fluida ed elegante, che mi ha fatto guadagnare un posto nella tribuna del rettilineo d’arrivo nell’Inferno dei Ferraristi per quante volte l’ho magnificata a scapito della sua collega rossa, ma la bellezza è la bellezza e di fronte a qualcosa che è oggettivamente bella tu al massimo puoi dire che non ti piace, ma non che non è bella. Venne il momento che questa bellissima macchina si trovò negli scarichi della sua collega rossa e Michelone nostro ebbe il suo bel daffare per tenersela dietro, finchè non si giunse intorno al giro quaranta quando si materializzò lui, l’eroe di noi divanisti: Ricardo Zonta.

Quanti di noi hanno desiderato di trovarsi in pista, circondati da gente del calibro di Michael Schumacher e Mika Hakkinen? C’è chi può e chi no, ma io può, come dissero una della mie professoresse e, per l’appunto, Ricardo Zonta, che si trovò letteralmente circondato da quei due al rettilineo del Kemmel: Schumacher lo doppiò all’esterno di autorevolezza e manifesta superiorità, Hakkinen li sorpassò entrambi all'interno, di eleganza. Ero in cucina a messaggiare con la mia amica sorseggiando un ghiacciolo quando sul ventidue pollici tubo catodico – altro prodotto tipico di quell’era geologica là – si materializzò questa scena: tre monoposto appaiate su uno strettissimo nastro d’asfalto!


Da allora dai tutti a dire che si trattò di uno dei più bei sorpassi di tutta la storia della Formula Uno. Io posso solo affermare che la mia amica smise di messaggiarmi, preferendo telefonare per rappresentarmi con la sua viva voce un E mo?  di disperata consapevolezza; io finii per ingoiare un pezzo troppo grosso di ghiacciolo che mi andò di traverso e mi ripresi in tempo solo per gli inni nazionali. Un po’ come Ricardo Zonta al giro quaranta, il quale avrà sentito una fastidiosa sensazione di gelo mentre gli si chiudeva la trachea …


immagine tratta da: http://racing.blogosfere.it/2007/12/storia-della-formula-1.html

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